Ricorre la regione dell'Umbria, in persona del presidente della giunta regionale in carica pro-tempore rappresentata e difesa per procura a margine del presente atto degli avvocati Dante Duranti e Goffredo Gobbi nello studio del quale in Roma, via Maria Cristina n. 8 e' elettivamente domiciliata, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica pro- tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158, che ha sostituito l'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, con specifico riferimento a quelle di cui al secondo comma, in generale e, comunque, con particolare riguardo alla previsione di cui alla lettera c) ove e' stabilito che il legislatore delegato deve indicare "l'ammontare del tributo dovuto per ciascun atto o provvedimento ad esso soggetto. Nel caso di provvedimenti od atti gia' soggetti a tassa di concessione, sia governativa che regionale o comunale, l'ammontare del tributo sara' pari a quello dovuto prima della data di entrata in vigore della tariffa. In caso di provvedimenti o atti gia' assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l'ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sara' pari al novanta per cento del tributo di ammontare piu' elevato, e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato, nonche' del decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1º agosto 1991, n. 179, con cui e' stata approvata la tariffa delle tasse sulle concessioni regionali in attuazione della delega disposta con l'art. 4 suddetto, per violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. In subordine per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle previsione della tariffa ora menzionata contrassegnate dai numeri d'ordine 1, lettera a); 7, punto 1, lettere c), d), e), f); punto 2, lettere c), d), e), punto 3; 16, punto 1; 41, punti 1, 2, 3 e 5 per violazione dell'art. 76, oltre che delle citate norme, della Costituzione. F A T T O Con l'art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158 contenente "norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni" il Governo e' stato delegato a definire "con decreto del Presidente della Repubblica avente valore di legge ordinaria", la tariffa delle tasse sulle concessioni regionali inerenti gli atti e i provvedimenti adottati dalle regioni nell'esercizio delle loro funzioni o dagli enti locali nell'esercizio delle funzioni regionali ad essi delegate ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione. Secondo il secondo comma di detta norma il legislatore delegato doveva indicare: gli atti e provvedimenti cui si applicano le tasse sulle concessioni regionali (lett. a); i termini entro i quali il tributo deve essere corrisposto (lett. b); eventuali norme di disciplina particolare del tributo (lett. d); l'ammontare del tributo per ciascun atto o provvedimento (lett. e); quest'ultima disposizione, in particolare precisa puntualmente i modi di definizione del detto ammontare stabilendo che "nel caso di provvedimenti od atti gia' soggetti a tassa di concessione sia governativa che regionale o comunale; l'ammontare del tributo sara' pari a quello dovuto prima della data di entrata in vigore della tariffa. In caso di provvedimenti o atti gia' assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l'ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sara' pari al novanta per cento del tributo di ammontare piu' elevato, e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato". Si tratta, come si puo' constatare, di una normativa, espressa in forma di principi e criteri direttivi al legislatore delegato, estremamente minuziosa tesa ad uniformare rigidamente su tutto il territorio nazionale il regime giuridico delle tasse sulle concessioni regionali senza lasciare alle singole regioni il minimo spazio di disciplina autonoma in modo da adattare la regolamentazione del tributo e, quantomeno, il suo ammontare, alle proprie particolari condizioni e alle proprie peculiari esigenze. Una simile disciplina ha sostituito quella dettata per le tasse sulle concessioni regionali, dall'art. 3 della legge 15 maggio 1970, n. 281: questa norma, facendo richiamo alle leggi regolatrici delle tasse sulle concessioni governative limitatava, a sua volta, in misura decisiva la possibilita' di intervento del legislatore regionale nella materia, che restava disciplinata in tutto e per tutto da quelle leggi. Alla regione, peraltro, la legge concedeva un certo margine nella determinazione del tributo; questo, infatti, poteva essere inizialmente fissato "in misura non superiore al centoventi per cento e non inferiore all'ottanta per cento delle corrispondenti tasse erariali", con possibilita' di disporre, a intervalli non superiori al quinquennio, maggiorazioni "nel limte del venti per cento delle tasse regionali vigenti nel periodo precedente" (secondo comma). Va ricordato altresi', per completezza, che, ferma restando la determinazione iniziale del tributo da parte della regione nei limiti indicati, alla medesima, in conseguenza della perdita di valore della moneta e' stata, poi, a piu' riprese riconosciuta la facolta' di aumentare gli importi delle tasse sulle concessioni regionali originariamente fissati (legge 23 novembre 1979, 594; decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, art. 25 conv. nella legge 26 aprile 1983, n. 131) fino a consentire - cosi' come ha pure disposto il quinto comma dello stesso art. 4, della legge n. 158/1990 - un aumento annuale non superiore al venti per cento (Legge n. 131/1983 citato). La regione Umbria ha provveduto in materia di tasse sulle concessioni regionali con le leggi regionali 30 dicembre 1971, n. 2; 28 maggio 1980, n. 57; 23 luglio 1981, n. 44; 2 aprile 1982, n. 12; 14 maggio 1982, n. 22; 18 marzo 1983, n. 7; 20 ottobre 1983, n. 40; 3 dicembre 1984, n. 47; 26 aprile 1985, n. 24; 23 giugno 1986, n. 23; 21 dicembre 1987, n. 56; 24 ottobre 1989, n. 35; 14 gennaio 1991, n. 1. In attuazione della delega disposta dall'art. 4 della legge n. 158/1990 e' stato emanato il d.lgs. 22 giugno 1991, n. 230, contenente, appunto "approvazione della tariffa delle tasse sulle concessioni regionali ai sensi dell'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 come sostituito dall'art. 4 della legge 14 giugno 1990, n. 158". La pubblicazione - in Gazzetta Ufficiale 1º agosto 1991, n. 179 - e l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 230 del 1991 - di per se stesso costituzionalmente illegittimo nelle previsioni specificate, per eccesso di delega - dando applicazione alle statuizioni della legge di delegazione e, in particolare, a quelle contenute nell'art. 4, secondo comma, hanno rimosso la condizione frapposta all'immediata incidenza di queste ultime sulla autonomia finanziaria e sulla potesta' legislativa regionale e reso attuale, secondo i principi elaborati da questa eccellentissima Corte con la sentenza n. 111/1972 (preceduta, su questo terreno, dalla sentenza n. 13/1964), la lesione della detta autonomia e della detta potesta', consentendo cosi' la proposizione del ricorso per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme indicate in epigrafe le quali, pertanto, si impugnano avanti a questa eccellentissima Corte per i seguenti motivi di: D I R I T T O 1) L'art. 119 della Costituzione garantisce alle regioni "autonomia finanziaria" pur "nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica che la coordinano con la finanza dello Stato, delle province e dei comuni" (primo comma); in questo quadro alle regioni sono attribuiti "per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali", oltre che "quote di tributi erariali", anche "tributi propri". Pur essendo la disciplina costituzionale dell'autonomia finanziaria regionale assai generica, certo e' che la stessa non puo' essere intesa in senso meramente atecnico come semplice necessita' di assicurare alle regioni i mezzi sufficienti per esercitare le loro funzioni. Una effettiva autonomia finanziaria implica infatti per le regioni il potere di autonoma determinazione delle entrate (per quel che qui interessa) e delle spese, sempre, ovviamente, nel quadro dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, dettati anche in funzione del necessario coordinamento della finanza pubblica, pure previsto dallo stesso art. 119. Puo' dunque dirsi che autonomia finanziaria (tributaria in particolare quantomeno con riguardo ai "tributi propri") e autonomia legislativa regionale non possono non avere la stessa ampiezza. Ma anche a non voler accedere a questa tesi interpretativa dell'art. 119 e a voler riconoscere al legislatore statale, in nome del principio dell'"unitarieta' della finanzia pubblica", la piu' ampia potesta' di intervento, anche in dettaglio, in materia di finanza, e di autonomia finanziaria, regionale, fino a configurare la legislazione in proposito come legislazione semplicemente "attuativa" di quella dello Stato non si potra' negare, comunque, che "l'autonomia finanziaria" e' anche, necessariamente "autonomia normativa" oltre che "autonomia organizzatoria". In tale direzione questa stessa eccellentissima Corte, ha avuto modo di chiarire che il richiamo contenuto nell'art. 119 della Costituzione alle "forme" e ai "limiti" stabiliti da "leggi della Repubblica" non identifica affatto, anche in relazione all'art. 23 della Costituzione, una riserva assoluta a favore della legge statale: invero "ove la disposizione per cui nessuna prestazione puo' essere imposta se non in base alla legge dovesse intendersi nel senso che solo la legge dello Stato possa imporre tributi, si escluderebbe con cio' stesso la potesta' normativa tributaria della regione; ma cio' contrasterebbe con quelle altre norme costituzionali che attribuiscono tale potesta'", segnatamente l'art. 119 della Costituzione (sentenza n. 64/1965). Vi e', quindi, comunque un parallelismo tra autonomia finanziaria e autonomia legislativa regionale; tra queste, in ogni caso, non puo' non intercorrere un nesso di coerenza sostanziale (sentenza n. 307/1983; ma anche n. 9/1957; n. 79/1972, n. 47/1973) che postula una "potesta' normativa tributaria" autonoma per la quale la regione deve quantomeno essere messa, in diritto (e in fatto), nella condizione di poter percepire entrate derivanti da una propria imposizione tributaria e di poter avere un reale margine di scelta nella regolamentazione e nella manovra dei tributi. Di quelli "propri", in particolare: i quali non sono tali soltanto in quanto assegnati alla regione ma anche, e soprattutto, in quanto da essa istituiti e in qualche, non esigua, misura, disciplinati, come, del resto, ha riconosciuto, sin dall'inizio, lo stesso legislatore nazionale con l'art. 23, secondo comma, n. 3, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, secondo cui "spetta al consiglio regionale.. .. ..) la deliberazione dei tributi regionali". Per unanime riconoscimento della dottrina la normativa costituzionale in materia di autonomia finanziaria delle regioni quale definita dall'art. 119, pure interpretata nel senso restrittivo ora ricordato, ha avuto da parte del legislatore statale, che ne ha definito le "forme" e i "limiti" un'applicazione assai restrittiva non in armonia con la Costituzione stessa. A partire dalla legge 16 maggio 1970, n. 281, in poi al legislatore regionale non e' stato in pratica concesso alcun margine di scelta in materia tributaria e finanziaria in genere, sia con riguardo alla spesa che, per quel che qui rileva, con riguardo all'entrata, tanto da determinare, sia pure per aspetti specifici particolarmente vessatori, ma con enunciati di valore generale, l'intervento riparatore di questa eccellentissima Corte (sentenza n. 307/1983). Cionondimeno anche nel contesto di una legislazione siffatta, pure entro limiti minimi e massimi predeterminati dalla legge, era stato lasciato all'autonomo esercizio della potesta' regionale uno spazio minimo: la regione, invero, poteva fissare le aliquote dei tributi propri con la conseguente possibilita' di condurre, quantomeno, una parvenza di politica tributaria autonoma e differenziata. Ora, pero', con l'innovazione introdotta dall'art. 4, secondo comma della legge n. 158/1990, che ha sostituito l'art. 3 della legge n. 281/1970, e al quale ha dato attuazione in via delegata, il d.lgs. n. 230/1991, anche questo simulacro di autonomia tributaria e' caduto. La nuova legge, infatti, non solo individua gli atti per i quali il tributo e' dovuto, i termini, le discipline particolari, ma determina l'ammontare della tassa comunque in misura fissa e uguale per tutti dal momento che la' dove si riscontrino tasse di ammontare diverso nelle varie regioni l'ammontare deve essere "pari al novanta per cento del tributo di ammontare piu' elevato e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato" (art. 4, secondo comma, lett. c), seconda parte, della legge n. 158/1990). Si viene cosi' ad uniformare integralmente, al di la' di ogni ragionevole esigenza di coordinamento della finanza regionale con quella nazionale, la quantificazione del tributo in tutto il territorio nazionale. E' stata annullata in tal modo qualsiasi autonomia delle singole regioni in tema di determinazione dell'ammontare della tassa sulle concessioni: vale a dire si e' soppressa qualsiasi residua possibilita', sicuramente postulata dall'art. 119 della Costituzione di adeguare l'importo della tassa sulle concessioni regionali alle specifiche condizioni, alle peculiari esigenze della collettivita' e del territorio di ciascuna regione quali valutate dal legislatore regionale. Palese e' dunque il contrasto delle disposizioni del nuovo testo dell'art. 3 della legge n. 281/1970, quale definito dall'art. 4 della legge n. 158/1990, nonche' delle disposizoni del d.lgs. n. 230/1991, che ha approvato la nuova tariffa, con l'art. 119 della Costituzione che sancisce il principio dell'autonomia finanziaria - intesa anche come autonomia normativa - delle regioni e con gli artt. 117 e 118 inerenti la potesta' legislativa regionale e quella amministrativa. 2) L'ulteriore e definitiva stretta operata, con l'art. 4 della legge n. 158/1990 e con il d.lgs. n. 230/1991, sull'autonomia finanziaria delle regioni con particolare riferimento alla possibilita' di disciplinare le tasse sulle concessioni regionali e di determinarne per lo meno l'ammontare - cosi' come pur consentiva, anche se entro determinati limiti, l'art. 3 della legge n. 281/1970 - appare tanto piu' sconcertante e ancor piu' chiaramente illegittima, per violazione delle ricordate norme della Costituzione, quando si considera che la necessita' di riconoscere alle regioni un adeguato margime di "autonomia impositiva" costituisce un fatto ormai politicamente e istituzionalmente acquisito. E non soltanto in linea di principio: la stessa legge 14 giugno 1990, n. 158, infatti, e' espressamente volta, sin dall'intitolazione, a conferire un primo concreto contenuto a tale autonomia. Ora, come si e' gia' precisato, puo' anche convenirsi, in questa sede, sul fatto che il legislatore statale goda di un ampio margine di discrezionalita' nel definire le forme, i contenuti e i limiti dell'autonomia finanziaria, e impositiva in particolare, delle regioni: non puo', pero', certamente annullarla. Per contro nel momento stesso in cui era lecito attendersi un ampliamento della facolta' delle regioni di imporre tributi si e' assistito, invece, per lo meno con riferimento alla tassa sulle concessioni regionali, alla chiusura anche di quel minimo spazio di manovra, consistente nella possibilita' di stabilite l'aliquota che, fino alla legge n. 158/1990, era assicurata dall'art. 3 della legge n. 281/1970. L'eliminazione anche di tale esiguo ambito di deteminazione autonoma ha dunque comportato, per quel che concerne la tassa sulle concessioni regionali, il totale disconoscimento e la soppressione dell'autonomia impositiva regionale che costituisce il nucleo essenziale dell'autonomia tributaria, normativa e organizzativa, riconosciuta alle regioni dall'art. 119 della Costituzione e che implica necessariamente affinche' possa dirsi sussistente il riconoscimento di un minimo di potesta' regionale nel determinare l'ammontare del tributo con riferimento alla realta' delle singole regioni. Avendo dunque soppresso, con riguardo alla tassa sulle concessioni regionali, anche quel minimo di autonomia impositiva garantita alle regioni dall'art. 119 della Costituzione, le disposizioni dell'art. 4 della legge n. 158/1990 impugnate come in epigrafe, nonche' la tariffa approvata col d.lgs. n. 230/1991, si pongono, ancor piu' chiaramente della precedente normativa statale nella materia, in contrasto insanabile con detta norma e, di conseguenza, con quelle degli artt. 117 e 118 della stessa Costituzione. 3) Prescindendo dai rilievi di costituzionalita' ora enunciati con riguardo all'art. 4, secondo comma, della legge n. 158/1990 e al d.lgs. n. 230/1991 nel suo complesso, si eccepisce, in subordine, l'illegittimita' costituzionale della tariffa approvata col decreto legislativo considerato per violazione dei principi e criteri direttivi previsti dalla legge di delega e, percio', dell'art. 76 della Costituzione. La censura appare senz'altro ammissibile nel presente giudizio, promosso in via principale dalla regione Umbria, dal momento che il principio (o, meglio, il criterio direttivo) che si assume violato, quello della lett. c), del secondo comma dell'art. 4 della legge n. 159/1990 incide sicuramente sulla competenza regionale, in quanto volto a garantire un certo ammontare dell'entrata regionale corrispondente alla tassa: si' che la sua violazione - ammesso che detta prescrizione possa a sua volta ritenersi costituzionalmente legittima - finisce per ripercuotersi sugli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione (Corte costituzionale sentt. nn. 183/1987; 272/1988; 617/1988). Precisamente appaiono determinate in violazione del detto criterio direttivo le tariffe contrassegnate da numeri d'ordine: 1) concessione per l'apertura e l'esercizio di farmacie, limitatamente alla lett. a); 7) autorizzazione igienico sanitaria per l'apertura e vidimazione annuale di pubblici esercizi, limitatamente ai punti 1, strutture ricettive alberghiere e altre strutture ricettive, lettere c), d), e), f); 2, esercizi per la somministrazione di alimenti, lettere c), d) e); 3, esercizi per la somministrazione di bevande; 16) n. 1, concessione per la costituzione di azienda faunistico venatoria; 41) concessione di servizi pubblici automobilistici, limitatamente ai punti 1, 2, 3 e 5. Invero, come si e' visto, con riferimento all'ammontare del tributo dovuto per ciascun atto o provvedimento, l'art. 4 secondo comma, lett. c), ultima parte, della legge n. 158/1990 stabilisce che "in caso di provvedimenti o atti gia' assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l'ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sara' pari al 90% del tributo di ammontare piu' elevato e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato". Ai sensi dei tale disposizione, dunque, il legislatore delegato e' tenuto a stabilire l'ammontare della tassa in misura pari al novanta per cento del tributo regionale piu' elevato: ove, peraltro, il tributo regionale meno elevato risulti superiore al novanta per cento di quello piu' elevato l'ammontare della tassa non potra' essere inferiore a detto importo. Da tutto cio' discende che la misura della tassa pari al novanta per cento del tributo regionale piu' elevato, rappresenta, per il legislatore delegato, un limite minimo inderogabile, posto a garanzia delle entrate regionali, con l'ulteriore conseguenza che non e' comunque legittima la previsione di tasse di concessione regionale con ammontare inferiore al novanta per cento degli importi gia' previsti nelle singole regioni dal momento che tale novanta per cento non potra' che essere inferiore al novanta per cento del tributo regionale piu' elevato. Per contro le previsioni sopraindicate della tariffa approvata col decreto legislativo n. 230/1991 si collocano tutte, avuto riguardo agli importi vigenti nella regione Umbria - che, per le voci consid- erate, debbono essere ritenuti come quelli di ammontare piu' elevato - al di sotto del detto novanta per cento, cosi' come risulta dalla tabella che si produce e che costituisce parte integrante del presente ricorso, con grave danno finanziario per la regione e conseguente violazione del criterio direttivo stabilito dalla lett. c), seconda parte del secondo comma dell'art. 4 della legge di delega n. 158/1991. Di qui l'illegittimita' costituzionale delle previsioni considerate per contrasto con l'art. 76 e con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.